L’azienda non può utilizzare, ai fini del licenziamento, la conversazione privata di una dipendente che, nella chat aziendale, parla male di un superiore e di alcune colleghe, se non ha comunicato ai dipendenti la possibilità di effettuare dei controlli difensivi.
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza n.25731 del 22 settembre 2021.
Una deroga sarebbe stata possibile (se eccepita dall’Azienda), solo appunto in caso di controlli difensivi, destinati a proteggere beni aziendali o finalizzati a contestazioni sulla prestazione lavorativa.
Lo sfogo della lavoratrice destinato ad un solo interlocutore rientra nella libera manifestazione del pensiero anche perché la “scoperta” della conversazione era avvenuta per caso, nel corso di un accesso tecnico, solo dopo trasformato dall’Azienda in un controllo difensivo, in considerazione delle frasi offensive e del disvalore della condotta. Circostanza che rendeva utilizzabili i dati acquisiti, in deroga alle regole stabilite dall’articolo 4 della legge 300/1970.
Per la Cassazione però il caso non rientra nell’ambito delle disposizione relative ai controlli difensivi, atteso che il datore di lavoro non aveva contestato alla lavoratrice inadempienze professionali né un uso anomalo dei beni aziendali.
La Cassazione respinge dunque il ricorso della società, contro il “no” al licenziamento, malgrado le esternazioni litigiose sul Pc aziendale avvenute per giunta durante l’orario di lavoro.
Per la Cassazione è poi dirimente, ai fini dell’inutilizzabilità delle informazioni, l’assenza di un’informazione preventiva sulle modalità di registrazione dei dati.